I marchi delle grandi multnazionali non ci chiedono di aderire: ci avvolgono, ci attraversano, plasmano il nostro modo di essere. Non sono segni di scelta, ma di condizionamento. La Coca-Cola, Starbucks, McDonald’s sono diventate la grammatica della nostra quotidianità, icone che non possiamo evitare, che finiscono per determinare linguaggi, desideri e comportamenti.

Sono simboli che non rappresentano più un’identificazione volontaria, ma una pervasività dominante.
Le opere della serie Corporations mettono in scena così la logica della sottomissione simbolica: non siamo noi a scegliere quei loghi, sono essi che scelgono noi, imponendosi come divinità moderne che dettano le regole del nostro immaginario.
Filippo Tincolini trasforma in opera questi loghi non per celebrarli, ma per misurare il nostro grado di fede in essi, li porta fuori dal loro habitat per mostrarli come ciò che sono diventati: grandi teologie del quotidiano.
Ma così facendo sottrae il logo al consumo rapido e lo mostra nella sua nudità, costringendo a guardarlo come segno e non per quello che vuole rappresentare. È quello che Barthes chiamava denaturalizzazione del mito: riportare alla luce il suo carattere costruito e ideologico. 

  • Filippo Tincolini's 'Acient Gods' marble sculpture: the bust of ironman from an acient past front right view
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  • Filippo Tincolini's 'corporations' marble sculpture
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